IL QUARTIERE DELLE STRAMBERIE

IL QUARTIERE DELLE STRAMBERIE

Un giorno uscii di nascosto dall’orfanotrofio e oltrepassai il varco. L’avevo già fatto. Sapevo anche dove quel tizio abitava perché avevo avuto occasione di seguirlo altre volte, ma non avevo mai trovato il coraggio di avvicinarmi. Questa volta però non mi sarei fermato, sarei andato dritto fino al cancello e così feci. L’elegante targhetta sul cancelletto riportava la scritta ”Sign. Le Woolf”. Non ero sorpreso dalla zona nella quale si ergeva quell’abitazione, alle stramberie oramai mi ci stavo abituando velocemente  e il Quartiere delle stramberie (come mi piaceva chiamarlo) ne era pieno zeppo. Oltrepassai il cancello e mi diressi verso la porta. Alzai la mano destra e con l’indice suonai il campanello che col suo suono bizzarro ammetto, mi sorprese. 

Non aspettai molto che la porta di colore bianco si aprisse. Non c’era apparentemente nessuno però, davanti a me. Sembrava come se quella porta si fosse aperta da sola. Decisi di non farmi domande, o meglio non feci in tempo perché fui rapito da ciò che mi si parò dinanzi. Rimasi per un tempo indefinito, a pensarci bene si trattò di un minuto anche se in quel momento mi sembrò un’eternità , perso ad osservare la porzione del corridoio che avevo davanti, con tutti quegli oggetti che di sicuro non si vedono tutti i giorni, soprattutto all’orfanotrofio.  Poi una voce si rivolse a me.

  • COME POSSO AIUTARLA SIGNOR … –
  • RUFUS! – risposi senza pensarci. Non era il mio vero nome, ma negli anni avevo imparato che è meglio non fidarsi di nessuno, nemmeno della propria ombra.
  • ALLORA, SIGN. RUFUS, POSSO FARE QUALCOSA PER LEI? –
  • SI, ECCO … VOLEVO CHIEDERLE S-SE … SE … – abbassai lo sguardo – POSSO RESTARE QUI?- ehi! Cosa stavo dicendo? Mi ero bevuto il cervello? Certo, all’orfanotrofio non era questo granché, ma non c’era motivo per volermene andare, con i miei compagni mi trovavo bene e il cibo non era male … ma allora, perché avevo detto quelle parole?
  • UN UMANO QUI? TRA L’ALTRO UN RAGAZZINO? SAREBBE LA PRIMA VOLTA CHE SUCCEDE … SAREI CURIOSO DI SAPERE COSA  NE DIREBBE MARGÒT  A RIGUARDO. SE LA SPASSEREBBE DI GUSTO.  SEGUIMI – continuò – TI OFFRO UNA TAZZA DI TÈ.–

Ero diventato rosso come un peperone per l’imbarazzo. Non ci credevo di aver detto veramente una cosa del genere … Varcai la soglia della porta e cominciai a seguire quel tizio per la casa. Oltrepassammo il corridoio e mi fece strada all’interno di una stanza sulla sinistra. Mi fece accomodare  su una poltrona elegante e con molta raffinatezza degna delle geishe giapponesi mi preparò una tazza di tè nero. L’odore di quell’intruglio pervadeva la stanza.

  • COME SEI ARRIVATO QUI? IN QUESTO QUARTIERE INTENDO. –
  • ATTRAVERSANDO IL VARCO, SIGNORE. – stranamente dissi la verità,  con lo sguardo basso rintontito ancora dall’imbarazzo che provavo .
  • ALLA TUA ETÀ? DA NON CREDERCI … – ribatté – I GIOVANI DI OGGI SONO DAVVERO PERSPICACI –

Cominciai a sorseggiare il tè. Era molto caldo. Ogni sorso lasciava in bocca un retrogusto di mandorla e vaniglia che mi ricordava casa. Era davvero buono. Doveva essere una varietà costosa.

  • DIMMI, NON PROVI PAURA DAVANTI A QUELLI COME ME?- mi chiese il tizio mentre preparava il suo intruglio.
  • ALL’INIZIO FORSE UN PO’… MA POI LA PAURA SI È TRASFORMATA IN CURIOSITÀ. –
  • ALL’INIZIO? SEI STATO QUI ALTRE VOLTE? LA CURIOSITÀ COME LA DEFINISCI, L’UOMO NE È ATTRATTO COME UNA CALAMITA. È UN RAGNO CHE TESSE LA SUA RAGNATELA E BISOGNA STARE ATTENTI A NON RIMANERCI INTRAPPOLATI.

Non so perché, ma il suo tono di voce era triste.

  • QUELLA RAGNATELA PUÒ FARTI PERDERE MOLTO, RAGAZZO … – concluse.

Non riuscii a ribattere. Pensai solo a starmene zitto e sorseggiare il mio tè . Non mi era possibile vedere il suo volto. Era vestito con abiti eleganti e al posto della sua faccia una fiamma di colore blu ardeva, senza però emanare calore. Non avevo modo di capire le sue espressioni o i suoi sentimenti se non attraverso la voce.

  • TI STAI CHIEDENDO COSA SONO? I TUOI OCCHI DICONO QUESTO, GIOVANE RUFUS . –

I miei pensieri si interruppero all’istante.

  • FUOCO FATUO. È IL NOME ATTRAVERSO IL QUALE MI PIACE DEFINIRMI. LA MIA FAMMA BLU ARDE SENZA SOSTA MA NON EMETTO CALORE, SONO COME UN FUOCO FREDDO. C’È DA DIRE CHE QUESTO RIFLETTE ABBASTANZA LA MIA PERSONALITA, PERCIÒ NON MI LAMENTO. – si alzò dalla poltrona e andò verso la finestra mentre una forte pioggia anticipata dai tuoni in lontananza cominciò a scendere al di fuori.
  • NON HO MATERIA. SONO FATTO DI PURA ESSENZA.-

Ero sorpreso per la seconda volta. Forse in fondo, non mi ero ancora del tutto abituato a quelle stranezze.

  • FINO A QUALCHE ANNO FA PERÒ, NON ERO COSÌ. PURTROPPO DELLA MIA VECCHIA VITA RICORDO DAVVERO POCO, SOLO IMMAGINI FRAMMENTATE CHE SI INSEGUONO L’UN L’ALTRA SENZA SENSO LOGICO CREANDO UNA GRAN CONFUSIONE. RICORDO BENE LA SENSAZIONE DI PAURA E DI AVER SBAGLIATO QUALCOSA. TUTTO QUESTO HA A CHE FARE CON QUESTO QUARTIERE, DI QUESTO NE SONO SICURO. QUESTE COSE PERÒ SAREBBE STATO MEGLIO NON DIRLE, PER FAVORE DIMENTICALE.

Rispetto a prima ora nelle sue parole lessi chiaramente non solo una velata tristezza, ma anche una forte determinazione, come se quel luogo nascondesse dei misteri profondi e ben radicati e quell’essere fosse determinato a scoprirli perché sentiva che in qualche modo lo riguardavano. Pensandoci bene, tutto questo era affascinate è vero, ma allo stesso tempo inquietante; tanto che la paura cominciò ad inoltrarsi e farsi strada all’interno del mio corpo e della mia mente, mentre fuori la nuvola temporalesca aveva fatta il suo corso, lasciando dietro di sé solo delle piccole pozzanghere e strade bagnate.

  • EHM … HA SMESSO DI PIOVERE, CREDO SIA MEGLIO CHE VADA … –
  • COSÌ PRESTO? NON VOLEVI RESTARE QUI?- mi chiese.
  • IN REALTÀ, CI HO PENSATO E HO DELLE PERSONE CHE MI ASPETTANO QUINDI IO … ECCO … –

Avevo paura. Non volevo restar intrappolato in quella ragnatela. Sentivo qualcosa urlare dentro di me che mi diceva di non restare lì.

  • GRAZIE PER IL TÈ, SIGNORE. –

Poggiai la tazza semi-vuota sul tavolino di fronte alle poltrone e dopo avermi accompagnato alla porta scorsi con la coda dell’occhio un piccolo esserino che in un battito di ciglia la aprì.  

Ero quasi fuori da quell’abitazione, ma ad un tratto non so bene per quale motivo. Senza pensarci, d’istinto mi voltai verso il tizio alle mie spalle.

  • SIGNORE, NON SIA TRISTE. VOGLIO AIUTARLA. RIUSCIRE A RIMETTERE INSIEME I FRAMMENTI E CAPIRE COSA LE E SUCCESSO. MI PERMETTA DI FARLO!-

 La paura era svanita. Aveva lasciato posto ad un coraggio e un calore che non credo avevo mai sentito prima. Forse ero caduto nella ragnatela e probabilmente me ne sarei pentito, però oramai non potevo tornare indietro o meglio non volevo.

  • CON PIACERE, VIENI PURE A TROVARMI QUANDO VUOI. –

Soddisfatto, già lontano oltrepassai il cancelletto per far ritorno all’orfanotrofio.

  • SEI UN BRAVO RAGAZZO, RUFUS … O FORSE DOVREI CHIAMARTI CON IL TUO VERO NOME, JEREMY? –

continua …

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